Salario minimo
Nell’attesa che l’iter della manovra finanziaria 2024 si concluda, e che il testo del disegno di legge arrivi in Senato a metà dicembre, assistiamo all’andirivieni di correttivi oggetto di ben 2.650 emendamenti proposti dalle opposizioni. l gruppi che ne hanno presentati di più sono Il PD ( 1.105) ed i 5 Stelle (945). In generale le opposizioni si sono presentate compatte proponendo gli stessi emendamenti su un tema in particolare, ovvero il salario minimo.
Il salario minimo adeguato per i lavoratori è di grande interesse per il dibattito politico, anche a seguito della presentazione da parte della Commissione europea della direttiva UE 2022/2041 , “relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea” a cui dovremmo uniformarci entro il 15 novembre 2024. Finalizzata a garantire l’adeguatezza dei salari minimi e condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori europei, nel rispetto delle specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali, ed al fine di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze retributive, la prescrizione comunitaria propone
- Rafforzamento delle normative esistenti per i 21 paesi dell’Unione Europea che già hanno implementato il salario minimo, maggiore trasparenza nella determinazione dei salari minimi
- Controllo più stringente affinché i salari minimi adeguati siano effettivamente applicati.
- Rafforzamento della contrattazione collettiva nei Paesi in cui la percentuale dei lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva è inferiore all’80%.
Chiaro è che la direttiva si rivolga principalmente a due casistiche specifiche: da un lato i Paesi dell’UE che già dispongono di un salario minimo stabilito per legge, aspetto che dunque esclude l’Italia; dall’altro agli Stati in cui la percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva è inferiore all’80%. L’Italia ha una percentuale di copertura ben superiore a questa soglia. Si potrebbe dedurre che la norma europea non rappresenti un “vincolo esterno”, come temuto da alcuni o sperato da altri. Essa non richiede l’introduzione di un salario minimo orario né impone un livello specifico di retribuzione. Piuttosto, si concentra sulla “governance” del salario minimo, enfatizzando il coinvolgimento delle parti sociali, il monitoraggio e la raccolta dei dati, nonché l’applicazione dei salari minimi adeguati.
Il salario minimo può essere stabilito per legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale, o dalla combinazione della fonte normativa con la contrattazione collettiva. Lo scopo del salario minimo è diverso da quello della contrattazione collettiva: il primo stabilisce la soglia minima di retribuzione, la seconda, invece, consente di fissare i salari oltre tale soglia.
Attualmente, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’UE: in 21 Paesi esistono salari minimi legali, mentre Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia rientrano tra i Paesi che non hanno un salario minimo stabilito per legge e che al contempo non sono obbligati a implementarlo nelle proprie legislazioni nazionali poiché hanno un tasso di copertura della contrattazione collettiva superiore all’80%, come previsto dalla direttiva europea UE 2022/2041. Tra i 27 paesi dell’Unione Europea, 21 hanno già una soglia salariale minima ciascuno in misura coerente con il costo della vita e con l’andamento dell’economia del Paese. In particolare, 6 Paesi (Lussemburgo, Olanda, Francia, Irlanda, Belgio e Germania) hanno un salario minimo sopra i 9 euro l’ora. Gli altri 15 Paesi europei hanno invece salari minimi inferiori ai 7 euro orari .
In Italia abbiamo più di 900 contratti collettivi nazionali, ciascuno con un diverso divisore giornaliero, un numero differente di giorni di ferie, di ore di permessi e anche di mensilità, senza contare il fatto che ci sono aziende che forniscono diverse forme di welfare ai propri dipendenti, che rappresentano dei benefici e che costituiscono una disparità di trattamento alla pari della diversa retribuzione , perché non fruiti da tutti ed in tutti i settori.
Salario minimo e ruolo della contrattazione collettiva
Nell’ordinamento italiano non esiste un livello minimo di retribuzione fissato per legge, ma l’articolo 36 della Costituzione riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa. A corredo dell’articolo 36 deve essere inteso l’articolo 39 che attribuisce ai sindacati, previa registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, e ciò da parte di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti. La mancata attuazione di tale ultima previsione costituzionale ha determinato due criticità: la mancata estensione nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla medesima categoria della efficacia dei contratti collettivi, e una proliferazione degli stessi.
Una consolidata giurisprudenza ha stabilito che i minimi tabellari stabiliti nei CCNL sono applicabili anche alle imprese e ai lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo. Intanto, l’elevato numero di CCNL ha dato luogo al fenomeno del cosiddetto “dumping contrattuale”, cioè l’applicazione di contratti firmati da organizzazioni datoriali e sindacali non maggiormente rappresentative e che applicano minimi tabellari bassi. In riferimento a questo punto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 51 del 2015 ha affermato il principio secondo cui i minimi salariali previsti nei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, sono comunque da intendersi come parametro di commisurazione nella definizione della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione di cui all’art 36 Cost. Di recente anche il CNEL conferma il primato della Costituzione nella individuazione del salario adeguato a garantire l’esistenza dignitosa del lavoratore e riconosce il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva.
Data la necessità di risposte sul tema del salario minimo, i partiti di opposizione all’esecutivo Meloni, ad eccezione di Italia Viva, hanno depositato alla Camera lo scorso 4 luglio una proposta di legge che costituisce uno dei possibili tentativi di recepimento dei contenuti della direttiva comunitaria 2022/2041, e che stabilisce un compenso orario lordo come soglia al di sotto della quale i contratti collettivi nazionali (CCNL) non possano scendere.
Ecco cosa cambierebbe per i lavoratori secondo la proposta:
- il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL non deve essere inferiore alla soglia minima di 9 euro lordi.
- in caso di diversi accordi collettivi nazionali, la retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto e non inferiore a quella stabilita nel contratto collettivo sottoscritto dalle associazioni più rappresentative a livello nazionale nella categoria di produzione coinvolta.
- in assenza di contratti collettivi nazionali nel settore, la retribuzione non può essere inferiore a quella stabilita dal CCNL che regola mansioni simili nello stesso settore.
- in assenza di contratti collettivi specifici nel settore, la retribuzione non può essere inferiore a quella del CCNL di un settore simile che regola mansioni equiparabili.
Il cammino verso il salario minimo appare ancora tortuoso a causa della tenzione che si percepisce a Montecitorio tra i versanti politici . Alla proposta dell’ opposizione di una creazione di un fondo ad hoc, e della previsione di un credito di imposta per quelle imprese che non sono in grado di adeguarsi agli auspicati 9,00 euro di paga minima oraria entro il 2024 , la maggioranza ha risposto tentando un colpo di mano con un proprio emendamento che cancella la proposta delle opposizioni, e che ,se approvato, darebbe al governo una delega di sei mesi per arrivare ad un testo che miri ad aumentare la tutela dei lavoratori, in particolare sul lato dei salari. La delega avrebbe l’obiettivo di “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi, contrastare il lavoro sottopagato, stimolare il rinnovo dei contratti collettivi.” In tema di contratti scaduti, la delega prevederebbe che il ministero del lavoro potrà intervenire per adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi tenendo conto delle peculiarità delle categorie di riferimento, o, se possibile, considerando i contratti collettivi più applicati per settori affini. La proposta del governo è stata fortemente contestata perché svuota il ruolo del Parlamento; di converso la maggioranza accusa l’opposizione, il cui ostruzionismo fatto in commissione ritarda soluzioni concrete.
Ma ad una soluzione bisognerà presto addivenire, considerando cautamente l’impatto che il minimo salariale potrà avere sul Paese, sulle dinamiche di mercato, sulla competitività, sull’inflazione, sulla sostenibilità economica, sulle procedure da stabilire per l’adeguamento periodico del salario minimo ed il coinvolgimento dei sindacati.
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